“In caso di violazione delle distanze, l’esistenza del danno può essere provata attraverso il ragionamento presuntivo, tenendo conto di una serie di elementi – che concorrono anche alla valutazione equitativa del danno – dai quali possa evincersi una riduzione di fruibilità della proprietà, del suo valore e di altri elementi che devono essere allegati e provati dall’attore”.
Tale principio è stato espresso dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 17758/2024 in una vicenda avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni causati dall’installazione illegittima di una canna fumaria in violazione dei limiti sulle distanze.
Secondo il giudice di legittimità la Corte d’appello ha errato quando, pur accertato che la canna fumaria era posta ad una distanza inferiore rispetto ai limiti prescritti dalla legge e accertata l’intrinseca pericolosità essendo il manufatto in amianto, rigettava la domanda risarcitoria ritenendo assente un danno diretto alla salute.
Difatti, sempre secondo la cassazione, il giudice di seconde cure avrebbe dovuto valutare anche in via presuntiva, se il pericolo attuale derivante dall’esposizione ad amianto, abbia limitato il godimento del bene, a prescindere dalla verifica delle immissioni nocive. Ha difatti affermato che:
“Ha, quindi, errato la Corte d’appello ad escludere la tutela risarcitoria per l’assenza di un danno effettivo alla salute, senza prima valutare se gli elementi presuntivi allegati fossero astrattamente idonei a compromettere il godimento del bene, come l’intrinseca pericolosità della canna fumaria per la composizione in amianto, la difformità della canna alle prescrizioni di legge ed il suo cattivo stato di conservazione”.
Di conseguenza, il ricorso veniva accolto e rinviato alla corte d’appello per un nuovo esame.