Nel caso in esame, Tizio citava in giudizio Caio contestando l’esecuzione di alcune opere che incidevano anche sulla sua proprietà. Caio, costituitosi in giudizio, si opponeva a tali asserzioni e a sua volta contestava a Tizio l’installazione del cappotto termico che pregiudicava il decoro architettonico dell’intero edificio chiedendo pertanto il ripristino.
Il Tribunale accoglieva la domanda di parte attrice e rigettava le domande di Caio. Impugnata la sentenza, la Corte d’appello in parziale modifica della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di Caio condannando Tizio alla riduzione in pristino dell’esterno del fabbricato.
Riteneva infatti il giudice di secondo grado che le opere eseguite avevano pregiudicato il decoro architettonico dell’intero edificio. La Corte di Cassazione, in merito alla vicenda, ha rilevato che: “l’esplicito riferimento allo stravolgimento architettonico delle facciate, con il pregiudizio arrecato all’aspetto estetico dell’edificio, costituisce in sé un chiaro indice del nocumento arrecato al decoro architettonico, inteso quale armonia ed unità di linee e di stile, rilevante anche per i fabbricati che non rivestano particolare pregio artistico ed estetico, suscettibile di compromissione o turbativa appariscente ed apprezzabile e tale da risolversi in un deprezzamento del bene.
Ebbene, l’alterazione architettonica delle linee decorative e del carattere estetico non necessariamente deve implicarne la radicale deturpazione, che rappresenta un quid pluris rispetto alla semplice e rilevante menomazione o deterioramento” (Cass. Civ. n. 17920/ 2023).
In applicazione a tale principio, la Cassazione rigettava pertanto il ricorso proposto da Tizio confermando di fatto la pronuncia resa in secondo grado.