Saper individuare i problemi da affrontare a livello aziendale ed extra-aziendale e come risolverli in maniera efficace ed efficiente è un tema sempre attuale per chi si occupa di vendita. Ecco a quali strumenti fare ricorso e le strategie da utilizzare per organizzare il territorio e mappare la clientela.
Di questi tempi la quantità e la varietà delle questioni da affrontare e delle decisioni da prendere sono in continuo aumento; si tratta di problemi sempre più complessi e tra loro correlati – a livello aziendale come pure extraaziendale – che coinvolgono più funzioni in azienda e che bisogna risolvere in maniera sempre più efficace e in tempi sempre più brevi.
Oggigiorno gli strumenti e i dati a disposizione per farlo sono innumerevoli, ma proprio per questo diventa essenziale saper predisporre e selezionare informazioni ed elementi certi, precisi e mirati per analizzare puntualmente le diverse alternative possibili e trovare soluzioni specifiche, efficaci e tempestive impiegando al meglio le risorse.
Per i commerciali (e non solo) problem solving & decision making non è dunque un tema “fuori moda”, anzi, è una questione sempre up-to-date che bisogna saper affrontare in maniera sempre più efficace ed efficiente – e, quindi, meglio organizzata. In quest’ottica, fare il punto e proporre qualche indicazione di metodo è l’obiettivo di questo articolo.
Come affrontare un problema
Innanzitutto, che cos’è un problema? Un problema è un divario fra un insieme di fatti attesi e un insieme di fatti reali le cui cause non sono note (in effetti, se le cause fossero note è molto probabile che il problema non esisterebbe). Un problema consiste infatti in una particolare “situazione” caratterizzata da due elementi: da un lato, uno stato di insoddisfazione e, dall’altro, la volontà di impiegare risorse allo scopo di annullare questo stato o, perlomeno, ridimensionarlo.
Un problema comporta tipica mente una decisione e, nello specifico, la necessità di decidere fra più azioni alternative per arrivare a risolvere la questione; questo dilemma di scelta genera ovviamente un intenso stato di esitazione, d’ansia e di incertezza. Come affrontarlo efficacemente e così risolvere il problema? Innanzitutto, un problema richiede un approccio analitico; il processo di analisi del problema consente infatti di conoscerne le cause non note inizialmente.
Il processo di risoluzione di un problema prende dunque il via, necessariamente, dalla conoscenza e dall’analisi del caso, che sono essenziali per intervenire sulla situazione problematica ed entrare nel cuore della questione. Questo processo consiste, principalmente, nel definire gli obiettivi, nell’individuare e analizzare le diverse alternative e ipotesi di soluzioni possibili, nell’appurare le probabilità che si verifichino i diversi risultati, nella scelta di una delle alternative e, quindi, nella pianificazione delle azioni necessarie.
Evidentemente, quanto più frequentemente un problema si verifica dando luogo a determinate situazioni, tanto maggiori sono le informazioni e gli elementi a disposizione per codificare il processo decisionale, stabilendo “regole” e suggerimenti utili per pianificare e mettere in atto le strategie e le azioni necessarie per realizzare gli obiettivi. In caso contrario (e quindi in assenza di uno storico e di esperienza, di cause note e di procedure e regole codificate) un percorso da seguire per ottenere il risultato risolvendo il problema va comunque individuato.
Quali sono allora le principali “regole” da seguire nel processo di analisi e in quello decisionale? Innanzitutto, bisogna procedere dal generale al particolare e per piccoli passi; bisogna tenere separati fatti e opinioni e non farsi condizionare e fuorviare dalle questioni personali; bisogna stare attenti a non confondere i sintomi con le cause e risalire alle vere origini del problema; è fondamentale porsi un obiettivo, dal momento che non si possono definire le misure se non sono state definite le finalità.
Entrambi i processi – quello di analisi del problema (problem solving) e quello decisionale (decision making) – generano congiuntamente la soluzione del problema poiché il primo identifica le cause e il secondo le rimuove. Il processo di analisi comporta fondamentalmente due codici di analisi: il codice naturale e il codice “legale”. Il codice naturale interviene quando si segue l’istinto e la logica personale; il codice “legale” interviene quando si esegue un’analisi profonda del fatto tenendo conto delle diverse variabili.
Tre fasi di analisi
L’analisi dei fatti è fondamentale. In particolare, bisogna prendere in considerazione e analizzare i fatti attesi, i fatti reali, i fatti- causa e i fatti correlati. I fatti attesi corrispondono alle aspettative, i fatti reali sono quelli effettivamente accaduti nella realtà (e cioè quelli che danno luogo al divario tra fatti attesi e fatti reali), i fatti-causa sono quelli che generano i fatti reali (le loro origini) e i fatti correlati sono altri fatti “inevitabili” perché possono essere stati generati dalla medesima causa.
Il processo di analisi dei fatti si deve basare principalmente sulle cause effettive; sono i fatti-causa, infatti, quelli che spiegano il verificarsi sia di un fatto reale sia di ogni fatto correlato e non sono in contrasto con nessuno di essi; evidentemente quindi, se a seguito della verifica della “coerenza” fra fatti-causa e fatti reali nessun fatto-causa “sopravvive”, significa che la causa reale non è stata individuata.
L’analisi dei fatti comporta fondamentalmente tre fasi:
- Verifica del divario fra fatti reali e fatti attesi
- Analisi dei fatti correlati
- Comparazione tra fatti attesi, fatti reali e fatti correlati.
Gli strumenti di analisi
Nell’ambito del processo di analisi, l’osservazione personale gioca sempre un ruolo essenziale grazie a strumenti quali la percezione del fenomeno, la raccolta di dati e informazioni e la determinazione dei fatti correlati; per la determinazione dei fatti- causa, invece, è fondamentale affidarsi principalmente a strumenti quali la curva di concentrazione, il benchmarking e l’analisi SWOT.
Perché la curva di concentrazione (curva ABC o di Pareto) è ancora uno strumento importante? Perché può aiutare a stabilire quali sono i principali fattori che hanno influenzato o generato un dato fenomeno e rappresenta quindi uno strumento sempre valido ai fini delle analisi e dei processi decisionali: praticamente, da ogni analisi statistica risulta che l’80% degli effetti (risultati o fenomeni che dir si voglia) è determinato dal 20% delle cause (o azioni).
Pure il benchmarking rappresenta uno strumento essenziale. Misurare i risultati e le prestazioni aziendali utilizzando come parametro di riferimento le best practice (cioè gli standard e gli indici di prestazione delle migliori aziende concorrenti) serve infatti non solo a valutare i cambiamenti nel proprio quadro di riferimento e a confrontarsi con le eccellenze del proprio settore/ mercato, ma anche e soprattutto a misurare i risultati e il livello di successo dell’azienda e, quindi, a determinare obiettivi e strategie più puntuali ed efficaci relativamente a prodotti, attività, processi e quant’altro. Misurare gli standard esterni consente di innovare senza interventi drastici e di operare per obiettivi realistici, poiché si fa riferimento ad attività e a risultati già realizzati da altri; ma significa anche, ovviamente, attenersi ai principi della qualità totale, orientandosi al cliente e mettendolo al centro degli interessi dell’azienda allo scopo di migliorare la customer satisfaction secondo una misurazione e una valutazione in relazione sia con le esigenze e le aspettative dei clienti, sia con le proposte di valore dei concorrenti.
L’analisi SWOT – tutt’altro che desueta – è tuttora uno strumento importante finalizzato all’analisi dei punti di forza e di debolezza interni/aziendali (strenghts & weaknesses) e delle opportunità e delle minacce esterne (opportunities & threats). È un metodo utile per porre sullo stesso piano le opportunità e i problemi e per identificare le azioni possibili e necessarie per migliorare i risultati, per trovare la miglior soluzione utile a risolvere una particolare problematica e per sviluppare maggiormente una determinata opportunità o un atout aziendale.
Il processo decisionale: elementi fondamentali
La tecnica della decisione e il processo decisionale sono legati a due principali fattori che possono influenzare profondamente l’atteggiamento di chi deve decidere: da un lato l’importanza della decisione, dall’altro lato la sua urgenza, vale a dire il tempo che si ha a disposizione per prenderla; tali fattori incidono a loro volta anche sulla scelta di decidere da soli o di optare per una decisione collegiale (a livello aziendale, di divisione o di gruppo ristretto).
Evidentemente, quanto più una decisione è importante tanto più deve essere presa con attenzione, cercando di evitare errori e incongruenze con il sistema impresa; quanto più una decisione è urgente, tanto minori sono sia il tempo disponibile per ponderarla sia le possibilità di condividerla con altri. Una decisione molto importante e molto urgente non può che essere prerogativa del “capo”, mentre una decisione altrettanto importante ma non urgente può anche essere delegata a un team di lavoro. Le decisioni poco importanti devono coinvolgere il “capo”, perlopiù in veste di coordinatore, ma solo se urgenti, mentre quelle non urgenti possono anche non essergli nemmeno sottoposte.
Un ulteriore fattore da considerare è ovviamente il rischio che ogni decisione comporta. In linea di massima, il rischio connesso a una decisione è molto più elevato se si hanno poche scelte (opzioni) a disposizione ed è in gioco una grande quantità di denaro, come illustra la matrice decisionale che evidenzia graficamente il rapporto tra rischio e opzioni. Anche alla luce di tali considerazioni, su quali basi va costruita una decisione?
Innanzitutto, bisogna stabilire quanto importante e quanto urgente è la decisione e se va presa individualmente o collegialmente, valutando quali temi, divisioni, funzioni aziendali e persone coinvolge e quali rischi e quali tipi e livelli di analisi comporta; solo in seguito si possono definire sia il piano strategico sia quello operativo. Bisogna dunque chiedersi: quanto è rilevante la decisione dal punto di vista economico (quanto denaro è in gioco)? Quanto è importante la scelta? Come, quanto e per quanto tempo sarà vincolato chi si impegna a decidere? Con quali e quante responsabilità? Quanto tempo si ha a disposizione per decidere? A chi e con quali modalità bisogna comunicare la decisione (c’è una gerarchia da rispettare)? Quali risorse umane sono coinvol te? Si deve agire da soli o si può decidere in team? Chi si può/ si deve consultare? A che punto del processo decisionale bisogna discuterne con i superiori? Prima, durante, dopo? A chi bisogna comunicare la decisione? Che cosa si può dire e non si deve dire a capi, colleghi, collaboratori e/o altre persone? Quali rischi si corrono personalmente? E quali rischi corre l’azienda (in caso di successo, in caso di insuccesso e se non accadesse nulla)?
Quali analisi (analisi dei fatti, curva ABC, benchmark interni, benchmark esterni, analisi rischi/opzioni, analisi SWOT) richiede la decisione? Si è provveduto a pianificare e a mettere in atto le analisi più opportune/necessarie? Relativamente all’analisi SWOT, si è provveduto alla verifica delle aree di forza e si è acquisita consapevolezza delle aree deboli? È stato stilato un elenco delle opportunità? È stato approntato un progetto in cui si è stabilito chi fa cosa e quando? È stato adottato il metodo delle 5W (Who, when, where, what, why, ossia chi, quando, dove, che cosa e perché)? Sono stati predisposti i tempi e i metodi di controllo? Si è provveduto a costruire la curva ABC dei valori noti (cifra d’affari dei clienti attuali) e la curva ABC dei valori stimati o potenziali? Sono state confrontate le concentrazioni?
L’incrocio della curva ABC dei valori noti con quella dei valori potenziali (figura Valori attuali e potenzialità dei clienti) evidenzia le aree in cui muoversi nel corso dello sviluppo del progetto? Il confronto delle concentrazioni consente di evidenziare i tre elementi significativi – cioè lo “zoccolo duro” della clientela aziendale (che fa l’80% della cifra d’affari e va consolidata e fidelizzata), l’area di sviluppo potenziale (dove si può operare per migliorare l’efficacia) e l’area di consolidamento e di gestione economica?
Last but not least, bisogna analizzare i vincoli che condizionano il processo decisionale, in primis la possibilità o meno di una gestione autonoma delle vendite; non bisogna infatti trascurare il fatto che i risultati di vendita sono spesso condizionati da situazioni e azioni che prescindono dalla forza vendite e dal cliente (front line, mercati nuovi, prodotti sostitutivi, mercati transnazionali ecc.) che impongono un riesame dei territori, delle strutture remunerative e non solo.
Il terreno di gioco
Quale che sia il mercato di riferimento/campo di battaglia, bisogna conoscerlo molto bene: devono conoscerlo gli strateghi (i direttori vendite), i capi area e gli agenti che sono in prima linea; bisogna conoscere molto bene anche i clienti da conquistare e i competitor da fronteggiare, che si fanno per le aziende sempre più vari e numerosi.
In particolare, qual è il ruolo del direttore vendite? Il manager deve conoscere a fondo il terreno e i punti di forza dei nemici, deve operare in base alle forze proprie e dell’avversario e conquistare i punti strategici del campo. Non può fidarsi troppo delle informazioni dei suoi collaboratori e aspettare che “arrivino i nostri”, non può contare solo sui mezzi perché per conquistare i capisaldi (i clienti) sono sempre fondamentali le persone.
Il manager delle vendite deve innanzitutto organizzare il territorio e deve quindi mappare la clientela: costruire il database dei clienti, conoscere i clienti strategici (il 20% che fa l’80% della cifra d’affari), definire i clienti prioritari e organizzare i venditori in funzione delle priorità. Tra le altre cose, il manager delle vendite deve costruire la “mappa del territorio”, inserire nella mappa le informazioni e orientare le risorse alle necessità territoriali stabilendo chiare responsabilità e priorità (ai manager la responsabilità dell’azienda, ai capi area la responsabilità dell’area di riferimento, agli agenti la propria zona).
Nella costruzione del territorio bisogna evitare confusioni e sovrapposizioni: ogni cliente deve avere come riferimento un venditore e deve ricevere sempre lo stesso “stile di comunicazione” affinché non si creino situazioni difficili da gestire. Auspicabilmente, occorrerebbe bilanciare zone e responsabilità in base a dati oggettivi di mercato, stabilire per ognuno obiettivi credibili e oggettivi, dare un “ordine geografico” alla forza vendite e riportarlo nei mandati. Per ogni zona di vendita occorre dunque stabilire precisamente: descrizione/delimitazione geografica e dati di base (area, Comuni, distanze chilometriche, popolazione ecc.), redditi, consumi e così via. Nel condurre questo processo, è importante considerare le variabili delle zone, come per esempio l’indice di concentrazione dei consumi (o peso del cliente sul totale), l’indice distributivo (numero e tipologia dei clienti presenti nell’area e loro potenzialità), l’indice di efficienza (rapporto fra clienti potenziali e serviti, rapporto fra costi commerciali di zona e numero dei clienti attivi).
Anche la predisposizione del tableau de bord è fondamentale: si tratta di una serie di tabelle semplici e sintetiche su cui ogni persona del team annota le proprie performance (giornaliere, settimanali, mensili) e le raffronta con gli obiettivi concordati con l’azienda: direttore vendite, capi area, agenti, principali clienti attivi (numero, cifra d’affari generata in valore assoluto e in percentuale), principali clienti potenziali soprattutto in termini di opportunità da sviluppare ecc.
Spunti per un’autoanalisi
Oggi direttori vendite, capi area e agenti devono essere in grado di selezionare informazioni ed elementi precisi e mirati per trovare soluzioni specifiche, efficaci e tempestive ai problemi, impiegando al meglio le risorse aziendali problem solving & decision making nelle vendite: la gestione in azienda è efficace?
- I problemi vengono affrontati con un approccio analitico che consente di conoscerne le cause non note inizialmente?
- Vengono definiti gli obiettivi, individuate e analizzate le diverse alternative e ipotesi di soluzioni possibili, appurate le probabilità del verificarsi dei diversi risultati? L’azienda sa scegliere tra le alternative possibili e pianificare le azioni necessarie?
- Si provvede a pianificare e a mettere in atto le analisi più opportune/necessarie?
- Si procede dal generale al particolare? Non si confondono i sintomi con le cause? Si risale alle vere origini del problema?
- Vengono presi in considerazione e analizzati i fatti attesi, i fatti reali, i fatti-causa e i fatti correlati?
- A livello di osservazione personale vengono utilizzati strumenti quali la percezione del fenomeno, la raccolta di informazioni e la determinazione dei fatti correlati?
- Per la determinazione dei fatti-causa si fa affidamento sulla curva di concentrazione (ABC), sul benchmarking e sull’analisi SWOT?
- Sono noti e messi in relazione tra loro i due principali fattori che influenzano il processo decisionale e l’atteggiamento di chi deve decidere, ossia l’importanza della decisione e la sua urgenza, oltre che la sua rilevanza dal punto di vista economico?
- Viene preso in considerazione anche il rischio che ogni decisione comporta (per chi la prende e per l’azienda)?
- Viene stabilito se prendere individualmente o collegialmente la decisione anche in funzione dei temi e dei tipi e livelli di analisi che comporta?
- Vengono definiti un piano strategico e operativo in funzione dei suddetti fattori?
- È stato approntato un progetto in cui si stabilisce chi fa cosa e quando? Sono stati predisposti i tempi e i metodi di controllo?
- 16-22 L’azienda è stata in grado di pianificare e gestire un efficace processo di analisi dei problemi e di decision making in funzione di chiari obiettivi e attribuendo precise responsabilità ai vari livelli della funzione vendite. Bisogna verificare comunque possibili aree di miglioramento.
- 8-15 Problem solving e decision making richiedono strategie e azioni meglio pianificate e gestite e una più precisa attribuzione di responsabilità e mansioni.
- 0-7 È possibile che le aree deboli a livello di problem solving e decision making non dipendano solo dalla carenza di una pianificazione organica, ma anche da un’impostazione strategica globale a livello di politiche aziendali e di mercato.