
Come valorizzare al meglio un prodotto di fascia alta per un profilo alto-spendente? Lo abbiamo chiesto a Veronica Verona, fondatrice de L’Accademia dello Showroom.
Nata nel 2014, L’Accademia dello Showroom è il primo format verticale di formazione e consulenza pensato appositamente per showroom, distributori, agenzie di rappresentanza e aziende produttrici attive nei settori delle finiture per l’edilizia, arredo-bagno, lighting e comfort abitativo.
L’obiettivo dell’Accademia è promuovere una maggiore cultura nel mondo delle costruzioni e delle ristrutturazioni, aiutando i professionisti del settore a rafforzare la propria proposta commerciale e a consolidare il proprio posizionamento competitivo. L’Accademia offre consulenza strategica, progettazione di layout espositivi e formazione personalizzata per addetti vendita, agenti esterni e professionisti.
E questo tipo di expertise è la chiave per proporre soluzioni ai clienti premium nel modo più opportuno, come spiega la fondatrice della società Veronica Verona.
Quali sono gli elementi chiave per uno showroom che vuole valorizzare al meglio un prodotto di fascia alta?

de L’Accademia dello Showroom
«Uno showroom che vuole vendere articoli di fascia alta non può accontentarsi di “esporre bene” un prodotto. Deve elevarlo. Deve farlo sentire l’unico, il migliore. E per farlo serve una messa in scena studiata, non casuale: l’illuminazione dev’essere pensata, quasi teatrale, gli spazi devono lasciar respirare ogni elemento e ogni finitura deve contribuire alla narrazione del brand. È come un set cinematografico in cui l’attore protagonista è il prodotto, e tutto il resto (luci, pavimenti, suoni e perfino il profumo dell’ambiente) recita una parte.
La maggior parte delle volte questo aspetto rappresenta un punto critico, perché sono le stesse aziende di produzione che non riescono a valorizzare i loro prodotti e non danno abbastanza spazio alla cura del visual merchandising».
Parla di spazio… quindi occorre evitare di esporre “troppo”?
«Serve il coraggio, che non guasta mai. Il coraggio di togliere, di fare spazio al silenzio visivo, di non dover “riempire” ogni metro quadro per forza. Perché chi vende prodotti di fascia alta non ha bisogno di esibire quantità: deve promettere qualità, unicità, trasformazione. Se entrando nello showroom il cliente percepisce coerenza, calma e senso del dettaglio, sa già di essere nel posto giusto. E non sentirà il bisogno di confrontare il prezzo con quello del vicino».
Come si può progettare un percorso esperienziale di questo tipo all’interno dello showroom?
«Serve immaginare un viaggio, non un corridoio. Il cliente premium non vuole essere accompagnato, vuole essere coinvolto. E non in modo invadente, ma con eleganza, come se fosse l’unico ospite atteso da giorni. Il percorso deve iniziare con un’accoglienza vera, niente banconi alti che nascondono receptionist di cui si vede solo la fronte, come spesso accade, e proseguire con passaggi che stimolino i sensi e la curiosità.
E poi serve un rito, un cerimoniale capace di dare valore al momento che sta vivendo il cliente, al fine di valorizzare l’attenzione che – come facilitatori della scelta – metteremo nel progetto di vita del nostro cliente. Non si tratta solo di toccare un materiale o vedere una combinazione: si tratta di immaginarsi già lì, in quella casa, in quella vita.
Se si riesce a far scattare quel tipo di immaginazione, la vendita non è più un traguardo, ma una naturale conseguenza. Il cliente premium non si conquista con lodi al prodotto, ma facendogli sperimentare il valore del prodotto nella propria vita. L’esperienza dev’essere autentica: i clienti di fascia alta percepiscono la falsità da lontano e preferiscono la verità agli effetti speciali».
A questo scopo, quali strumenti digitali e tecnologie sono indispensabili?
«La tecnologia, se usata bene, è alleata del racconto. Ma dev’essere invisibile, fluida, quasi magica. Un configuratore 3D che permette di personalizzare ogni dettaglio senza far sentire il cliente in un videogame degli anni Novanta. Un sistema di realtà aumentata che non diventi un parco giochi, ma un modo elegante per vedere oltre il campione fisico. Un CRM intelligente che consente di ricordare chi è il cliente, cosa gli è piaciuto e magari anche se preferisce il tè al caffè.
E poi, c’è il fattore umano aumentato, dove entra in gioco qualcosa a cui tengo molto: l’app per showroom Metodo Accademia. È un modello che unisce strumenti digitali, neuroscienze e tecniche di vendita consulenziale, pensato proprio per accompagnare il cliente in uno showroom esperienziale. Parliamo di una metodologia che guida il team non solo a “presentare” il prodotto, ma a farlo vivere attraverso un linguaggio, una postura e un’interazione progettata per generare coinvolgimento e valore percepito.
È formazione, ma è anche strategia commerciale, ed è quello che oggi fa la differenza tra chi “espone” e chi vende. Insomma, la tecnologia è fondamentale, ma va usata con stile. Come un bel paio di occhiali da sole: se sono giusti, quasi non si notano, sono un accessorio che valorizza. Ma se sono sbagliati, sono tutto quello che si vede».
In merito, invece, alla formazione: come trasmetterei valori e l’esclusività del brand ai clienti?
«La differenza la fanno le persone. Il prodotto può essere meraviglioso, lo showroom perfetto, il marketing impeccabile, ma se chi accoglie il cliente non è all’altezza del brand, il castello crolla in tre minuti. Formare il personale non vuol dire solo insegnargli cosa dire, ma costruire consapevolezza.
Devono sapere “chi sono” i marchi, curare la loro immagine, sapere cosa rappresentano e perché il cliente dovrebbe fidarsi di loro. La formazione efficace, da fare bene con metodo e continuità, è quella che lavora in profondità: cultura del brand, capacità relazionali, gestione emotiva della trattativa e ascolto attivo.
Non basta un corso all’anno, ma serve una formazione viva, che si evolve, che include role play, analisi dei casi reali e confronto fra pari. La domanda non è “cosa devono sapere”, ma “cosa devono far provare”. Se riescono a far sentire al cliente che è parte di qualcosa di speciale, allora il valore del prodotto e dello showroom passa. Non perché gliel’hanno spiegato, ma perché lo ha vissuto».
Può suggerire strategie o iniziative specifiche efficaci per attirare e fidelizzare una clientela alto-spendente?
«Una delle strategie più efficaci è far sentire il cliente come se fosse l’unico. Non il più ricco, non il più importante, ma l’unico. L’unico meritevole di attenzione in quel preciso momento: è un risultato che si ottiene con iniziative che parlano direttamente a quel cliente, non al pubblico in generale. Per questo, per esempio, ci sono gli eventi. Non serve fare il solito open day con buffet e gadget, ma piuttosto preferire piccoli eventi su invito, curati nei dettagli, magari in partnership con brand affini, moda, design, arte ed enogastronomia ricercata. Quando l’esperienza è coerente, il cliente si fida, quindi torna, magari anche con un amico o con l’architetto.
La personalizzazione è l’altra grande chiave: il cliente alto-spendente non vuole scegliere tra tre opzioni, vuole sentirsi co-autore. Vuole che il prodotto racconti la sua storia. E poi c’è la relazione nel tempo: il post-vendita fatto bene, il pensiero inatteso, l’invito mirato.
Perché negli showroom che vendono prodotti di fascia premium la vendita è solo l’inizio. Il vero obiettivo è costruire una relazione e, come tutte le cose belle, ha bisogno di attenzione, pazienza e un tocco di originalità».
«I contenuti dovranno servire ad aumentare la consapevolezza dei nostri interlocutori sull’impatto che le scelte di sostenibilità fatte dalle aziende ceramiche hanno sulla società e sull’ambiente, traducendole in leve d’acquisto adatte alle nuove generazioni che si prospettano di effettuare una ristrutturazione» racconta Veronica Verona.


