Legionella, un batterio troppo spesso sottovalutato

La legionella è un genere di batteri aerobi gram-negativi di cui sono state identificate 61 specie, suddivise in 70 sierotipi. Quella più pericolosa, a cui sono stati collegati circa il 90% dei casi di legionellosi, è la L. pneumophila. Questo nome deriva dall’epidemia che nell’estate del 1976 colpì un gruppo di Legionari veterani americani riuniti in un albergo di Philadelphia causando ben 34 morti su 221 contagiati da questo batterio che in quell’occasione fu isolato per la prima volta nell’impianto di condizionamento dell’hotel dove questi pazienti avevano soggiornato (Brenner et al., 1979).

Le legionelle sono presenti negli ambienti acquatici naturali e artificiali. Da questi ambienti possono raggiungere gli impianti idrici degli edifici, quali serbatoi, tubature, fontane e piscine, determinando un rischio per la salute umana (Declerck et al., 2007; Fliermans et al., 1981, Bianchi et al. 2010).

La carta di identità del microrganismo

Il termine Legionellosi viene utilizzato quale definizione generica per tutte le forme cliniche di questa malattia che variano dalla polmonite che, soprattutto in soggetti defedati, può avere un tasso di mortalità variabile tra 10-15%, a forme febbrili extra polmonari a forme più lievi con una sintomatologia subclinica. Come già detto, la specie più frequentemente coinvolta in casi umani è L. pneumophila anche se altre specie sono state isolate da pazienti con polmonite. Dopo la prima identificazione nel 1976 (Fraser et al., 1977; McDade et al., 1979), è stato segnalato un notevole incremento del numero di casi in molte Nazioni, anche con un elevato grado di livello igienico e questo può essere attribuito sia al miglioramento degli strumenti diagnostici disponibili e alla maggiore sensibilità dei clinici nei confronti della malattia sia all’aumento delle occasioni di esposizione alla legionella dovuto all’incremento del turismo, della frequentazione di centri benessere e alla sempre più diffusa installazione di impianti di condizionamento centralizzati negli ambienti a uso collettivo, dotati di torri di raffreddamento o di impianti frigoriferi.

Il microrganismo si trova in diverse matrici ambientali e quindi la malattia può manifestarsi con epidemie dovute a un’unica fonte con limitata diffusione nel tempo e nello spazio oppure con una serie di casi indipendenti in un’area senza un’evidente concentrazione temporale o geografica. Focolai epidemici si sono più volte verificati in ambienti pubblici quali ospedali o alberghi e navi da crociera. I casi di polmonite da Legionella di origine comunitaria si manifestano prevalentemente nei mesi estivo-autunnali, mentre quelli originati in strutture socio-sanitarie non presentano una particolare stagionalità.

Legionellosi, come si contrae

La Legionella pneumophila sierogruppo 1, responsabile della prima epidemia nella quale è stata riconosciuta quale responsabile, è causa del 95% delle infezioni in Europa e dell’85% nel mondo. Anche in Italia l’analisi della distribuzione di specie e sierogruppi isolati nella nostra nazione ha confermato la prevalenza di Legionella pneumophila e in particolare del sierogruppo 1 nei casi di malattia (Fontana et al., 2014; Bianchi et al 2016; Tesauro et al. 2010). Non è nota la dose infettante per l’uomo. Neppure si conoscono le ragioni della diversa virulenza nelle differenti specie e sierogruppi. Non è ancora noto neppure lo stato fisiologico di Legionella che causa l’infezione, ma esso può includere sia la fase stazionaria di crescita sia quella logaritmica, come pure le cosiddette spore-like forms. Lo stato fisiologico di Legionella può essere importante in relazione alla virulenza, poiché essa aumenta quando il batterio è cresciuto nelle amebe, nella tarda fase stazionaria o quando è nella forma spore-like.

La legionellosi viene normalmente contratta per via respiratoria mediante inalazione, aspirazione o aspirazione di aerosol contenente Legionella, oppure di particelle derivate per essiccamento. Le goccioline si possono formare sia spruzzando l’acqua che facendo gorgogliare aria in essa, o per impatto su superfici solide. La pericolosità di queste particelle di acqua è inversamente proporzionale alla loro dimensione. Gocce di diametro inferiore a 5μ arrivano più facilmente alle basse vie respiratorie.

Sono stati inoltre segnalati in letteratura casi di legionellosi acquisita attraverso ferita (Lowry and Tompkins, 1993). Non è mai stata dimostrata la trasmissione interumana della malattia. Mentre la maggior parte dei primi casi di legionellosi sono stati attribuiti a particelle di acqua aero disperse, contenenti batteri provenienti da torri di raffreddamento o condensatori evaporativi o sezioni di umidificazione delle unità di trattamento dell’aria, in seguito, numerose infezioni sono risultate causate anche dalla contaminazione di impianti di acqua potabile, apparecchi sanitari, fontane e umidificatori.

Eventi epidemici verificatisi in vari Paesi, che hanno riguardato frequentatori di fiere ed esposizioni nelle quali si sono create condizioni di rischio di infezione da sistemi generanti aerosol (piscine e vasche idromassaggio), suggeriscono l’opportunità di considerare anche queste manifestazioni nell’anamnesi dei casi e nell’indagine epidemiologica. In Italia negli ultimi venti anni gli eventi epidemici più rilevanti sono stati causati da torri di raffreddamento (Rota et al. 2005) o da impianti idrici di strutture turistico ricettive (Rota et al. 2011) o probabilmente da più sorgenti (torri di raffreddamento e/o impianti idrici di abitazioni, Scaturro et al. 2014). In Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Stati Uniti e Regno Unito sono state descritte a più riprese delle infezioni da Legionella longbeachae associate all’utilizzo di terriccio o composti.

Soggetti a rischio

I soggetti con il maggior rischio di contrarre le forme più severe sono i soggetti anziani e con fattori di rischio quali il fumo di sigaretta, la presenza di malattie cronico degenerative, l’immunodeficienza. Il rischio di acquisizione della malattia è principalmente correlato alla suscettibilità individuale del soggetto esposto e al grado d’intensità dell’esposizione, rappresentato dalla quantità di Legionella presente e dal tempo di esposizione. Sono importanti, inoltre, la virulenza e la carica infettante dei singoli ceppi di Legionella, che, interagendo con la suscettibilità dell’ospite, determinano l’espressione clinica dell’infezione. È da considerare che nonostante il carattere ubiquitario di Legionella, la malattia umana rimane per fortuna relativamente rara; i tassi d’attacco nel corso di focolai epidemici sono bassi, inferiori al 5% dei soggetti potenzialmente esposti.

Manifestazioni cliniche della malattia

La legionellosi può manifestarsi con due distinti quadri clinici: la Febbre di Pontiac e la Malattia dei Legionari. La Febbre di Pontiac, dopo un periodo di incubazione di 24-48 ore, si manifesta in forma acuta con una manifestazione a decorso benigno di tipo simil-influenzale senza interessamento polmonare, e si risolve in 2-5 giorni. Le avvisaglie possono essere: malessere generale, mialgie e cefalea, seguiti rapidamente da febbre, a volte con tosse e gola arrossata. Possono essere presenti diarrea, nausea e lievi sintomi neurologici quali vertigini o fotofobia.

La Malattia dei Legionari, dopo un periodo di incubazione variabile da 2 a 10 giorni (in media 5-6 giorni), si manifesta come una polmonite, con o senza manifestazioni extrapolmonari. Questi quadri sintomatologici non hanno caratteristiche di specificità né clinici né radiologici. Nei casi classificabili come gravi secondo il punteggio “pneumonia severity index” (Fine et al., 1997) può insorgere bruscamente con febbre, dolore toracico, dispnea, cianosi, tosse produttiva associati all’obiettività fisica semeiologica del consolidamento polmonare. Nei casi classificabili come di gravità lieve (ma che poi, se non adeguatamente trattati, possono evolvere in polmonite grave) l’esordio può essere insidioso con febbre, malessere, osteoartralgie, tosse lieve, non produttiva. I quadri radiologici non sono caratteristici e non permettono di porre diagnosi certa, potendosi rilevare addensamenti di tipo alveolare focali, singoli o multipli, monolaterali o disseminati con o senza evoluzione escavativa, come quadri inizialmente a impegno interstiziale.

A volte possono essere presenti sintomi gastrointestinali, neurologici e cardiaci; alterazioni dello stato mentale sono comuni, generalmente non associati a meningismo.

In un paziente affetto da legionellosi, a stampo sistemico possono essere presenti uno o più dei seguenti segni e sintomi: bradicardia relativa, lieve aumento delle transaminasi, ipofosfatemia, diarrea e dolore addominale. Tra le complicanze della legionellosi vi possono essere: ascesso polmonare, empiema, insufficienza respiratoria, shock, coagulazione intravasale disseminata, porpora trombocitopenica e insufficienza renale.

La polmonite da Legionella non ha quindi caratteristiche peculiari che permettano di distinguerla da altre forme atipiche o batteriche di polmonite comunitaria, né ha segni caratteristici specifici che consentano di sospettarla tra le forme di polmonite a origine in strutture socio-sanitarie o a carico di soggetti immunocompromessi. Deve sempre rientrare in una diagnosi differenziale quando insorge in comunità o in strutture socio-sanitarie.

Non a caso le linee guida della American Thoracic Society prevedono antibiotici sempre attivi verso Legionella anche per le polmoniti comunitarie di lieve gravità e indicano di considerare l’eziologia in tutte le forme nosocomiali fino a quando non venga esclusa dalle indagini di laboratorio (American Thoracic Society, 2005).

La diagnosi di laboratorio

La diagnosi di laboratorio della legionellosi (Linee guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi, 2015) deve essere considerata integrazione indispensabile alle procedure diagnostiche cliniche. La complessità della diagnosi di laboratorio consiste, inoltre, nella difficoltà di isolare e identificare il germe in tempi relativamente brevi e nella comparsa sovente molto tardiva degli anticorpi, per cui talvolta è possibile fare una diagnosi solo retrospettivamente. Il metodo diagnostico di elezione è l’isolamento e l’identificazione del microrganismo. Tuttavia esso richiede terreni di coltura speciali (legionella non cresce sui terreni di uso comune) e tempi di crescita relativamente lunghi (4-10 giorni).

La prova dovrebbe essere eseguita sistematicamente sulle secrezioni respiratorie ed eventualmente su parenchima polmonare di pazienti con polmonite atipica interstiziale. Una emocoltura negativa, seminata successivamente su terreno appropriato per Legionella, può dare luogo all’isolamento del microrganismo. L’isolamento da campioni clinici è estremamente importante, sia perché è il criterio diagnostico più specifico sia perché permette lo studio comparativo con ceppi di Legionella isolati dall’ambiente presumibilmente associati all’infezione al fine di individuare la fonte dell’infezione stessa.

La prova dell’antigenuria (presenza di antigene solubile nelle urine) ha il vantaggio che è più facile ottenere un campione di urine che un campione di espettorato adeguato (poiché i pazienti presentano una tosse non produttiva) o di broncoaspirato/lavaggio. Inoltre, si positivizza precocemente e, contrariamente alla coltura, può dare risultati positivi anche per 60 giorni e talvolta oltre, in modo intermittente, anche in corso di terapia antibiotica.

Il test per la rilevazione dell’antigene urinario evidenzia solo gli antigeni di Legionella pneumophila sierogruppo 1. Quindi, benché la sensibilità di tale test sia dell’80-95% per infezioni dovute a tale microrganismo, la sensibilità globale per tutte le cause di legionellosi oscilla tra il 65 e il 75%. I metodi sierologici sono utili per indagini epidemiologiche ma sono meno validi per quelle cliniche, data la comparsa talvolta tardiva (anche 3-6 settimane) degli anticorpi specifici a livelli significativi e della necessità di controllare un campione di siero in fase di convalescenza. L’esistenza di reattività crociata tra legionelle e altri microrganismi e la difficoltà di distinguere tra infezione in atto o infezione pregressa in caso di campione singolo di siero o di titolo anticorpale costante (infatti, occasionalmente le IgM possono persistere a lungo nel siero dei pazienti con legionellosi) rende la conferma diagnostica più complessa. Un risultato positivo su un singolo siero ha un valore diagnostico presuntivo. Il metodo sierologico ha un valore predittivo positivo piuttosto basso.

L’evidenziazione delle legionelle nei campioni clinici per mezzo dell’immunofluorescenza, pur permettendo di confermare la diagnosi di polmonite da Legionella entro poche ore, ha una validità inferiore al metodo colturale. La tecnica di ibridizzazione degli acidi nucleici, utilizzando sonde di DNA che individuano molecole di DNA o di rRNA, permette una diagnosi precoce e una risposta entro poche ore. L’amplificazione del DNA mediante reazione polimerasica a catena (PCR) è stata applicata per ricercare le legionelle o parti di esse nel fluido del lavaggio bronco-alveolare, nel siero e nelle urine e oggi rappresenta il golden standard per quanto riguarda il laboratorio (bianchi et al, 2016). Stante che le varie prove di laboratorio sono complementari tra loro, in caso di sospetta legionellosi occorre se possibile eseguirne più di una.

Autori:

Fabrizio Pagliasco, Direttore sanitario I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano

Marina Tesauro, Laboratorio Igiene ambientale, Dipartimento di Scienze Biomediche Chirurgiche e Odontoiatriche, Università degli Studi di Milano